Se fino ad oggi hai sempre creduto che i luoghi fiabeschi non esistessero o fossero frutto della fantasia del genere umano, è giunto il momento di acquistare un biglietto aereo per il Togo e andare a far visita, nel nord del Paese, alla Valle dei Tamberma (o Koutammakou), un’area caratterizzata da infiniti baobab, arbusti e alberi di mango, in cui uomo e ambiente vivono in perfetta armonia. Sono certo che ti ricrederesti!
La valle, così chiamata poichè prende il nome dall’etnia originaria del Burkina Faso che vi si rifugiò a partire dal XVII secolo, per sfuggire ai rastrellamenti degli schiavi imposti dai sovrani del regno di Dahomey, in Benin, è caratterizzata da curiose case-fortezza, simili a castelli in miniatura, costruite a mani nude con argilla (o terriccio), acqua, legno e paglia, che le conferiscono un aspetto fiabesco. Per questo motivo, il sito fu dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 2004.
la valle dei tamberma: l’abitazione tradizionale
Concepito a scopo difensivo per contrastare gli attacchi delle tribù vicine prima e le invasioni dei coloni tedeschi verso la fine del XIX secolo, il complesso abitativo tradizionale dei Tamberma, un popolo che vive essenzialmente di caccia e di agricoltura, servendosi delle risorse che offre loro l’habitat in cui vivono, è denominato tata (o takyenta). Mente agli uomini spetta il compito di innalzare i muri, alle donne tocca la gravosa incombenza di recupero dell’acqua e del terriccio necessari a creare l’impasto. Alla faccia dell’equa ripartizioni dei compiti e delle fatiche, mi verrebbe da esclamare!
La struttura, disposta su due piani, consta di torri collegate tra loro da un muro interrotto da un ingresso che in origine veniva utilizzato per intrappolare e uccidere il nemico. Il piano terra è adibito ad area di ristoro per gli animali, mentre al piano superiore, raggiungibile tramite una scala interna, ci sono la cucina e le stanze.
Le torri, ricoperte di paglia, fungono invece da magazzino per lo stoccaggio di miglio, mais e sorgo, un cereale di uso antico. Gli amuleti e i feticci appesi alle pareti delle case proteggono l’abitazione dagli spiriti maligni e sono tipici di chi, come i Tamberma, è di fede animista.
Visitare i Tamberma significa entrare in contatto con una realtà dagli usi, costumi e tradizioni ancestrali, la cui concezione di realtà non si limita al solo mondo dei vivi, ma viene estesa agli spiriti, ai defunti e agli antenati. Benchè l’avvento del turismo e i piccoli proventi in denaro derivanti dalle fotografie a loro scattate dai turisti ne stiano gradualmente mercificando le abitudini, i tamberma fanno di tutto per conservare una propria identità.
Non è raro, infatti, vedere donne indossare dei copricapi con corna di antilope durante balli, feste e cerimonie, oppure di sentirsi raccontare dai villageois di come un figlio, pronto a sposarsi ed ad uscire di casa, debba scoccare una freccia e attendere che la stessa si conficchi a terra per determinare il punto esatto in cui la sua nuova dimora verrà costruita.
- La Valle dei Tamberma è visitabile con l’ausilio di una guida locale al costo di 5.000 FCFA (8,00 euro circa).
COME RAGGIUNGERE LA VALLE DEI TAMBERMA
Per visitare la Valle dei Tambema è necessario raggiungere il villaggio di Nadoba, celebre per il suo mercato, animato dalle venditrici di tchoukoutou, un’ottima birra al miglio, oppure la cittadina di Kandé, situata a 50 km da Kara, il capoluogo dell’omonima regione, di etnia kabyé. Chi visita la valle, giunge quasi sempre in taxi-brousse a Kara, trascorre la notte in città ed effettua l’escursione, in giornata, l’indomani. Di sistemazioni per la notte, a Kara, ce ne sono a bizzeffe, tutte o quasi con prezzi più che abbordabili.
Se raggiungere la valle dai luoghi posti nelle sue vicinanze è relativamente semplice e veloce, lo stesso non si può dire se è da Lomé che si deve partire. I 450 km che separano le due estremità, infatti, non solo sono abissali, ma comportano un grosso dispendio di energie psicofisiche, non sempre facili da digerire nell’immediato. Di questo ne so qualcosa! Le nove ore di viaggio che mi sono dovuto sorbire per raggiungerla, partendo dalla gare-routiere di Lomè, pigiato come una sardina e con le ginocchia in gola, ne sono la sua testimonianza concreta.
cosa visitare nei dintornI: Kara e sarakawa
Distante solo alcuni chilometri da Pya, il villaggio natale dell’ex presidente Eyadéma Gnassingbé, sorge Kara, una città ideata e progettata dai tedeschi che sebbene non desti grande interesse dal punto di vista turistico merita di essere menzionata per il Festival di Evala, un evento culturale alquanto folkloristico che ha luogo proprio qui le prime due settimane di luglio.
L’Evala è una lotta rituale tradizionale simile al wrestling, accompagnata da canti e balli, attraverso la quale viene sancito il passaggio del giovane maschio di etnia kabyè all’età adulta. L’evento vede protagonisti giovani combattenti di età compresa tra i 18 e i 20 anni, cosparsi di polvere bianca e suddivisi in squadre da cinque lottatori ciascuna, il cui unico scopo è di rovesciare a terra l’avversario. Io, purtroppo, avendo visitato il Paese nei primi tre mesi dell’anno, l’ho vissuto attraverso le fotografie e i racconti della gente.
Ciò che invece desta interesse e consiglio sempre di visitare sono i suoi dintorni, dove a farla da padrone sono il villaggio di Sarakawa e l’omonimo parco. Il villaggio, situato a 25 km a nord-ovest di Kara, ospita i resti dell’aereo caduto in seguito al disastroso incidente avvenuto nel 1974, nel quale persero la vita tre delle quattro persone che erano a bordo. L’unico superstite, miracolosamente illeso, fu l’ex presidente Eyadéma, al quale, a seguito dell’accaduto, il governo togolese decise di erigere una statua che lo ritrae con un dito della mano puntato in direzione del luogo in cui l’aereo precipitò.
Il Parco Sarakawa, invece, è l’antica riserva di caccia del Presidente Gnassingbé. Aperto al pubblico ormai da alcuni anni, occupa un’area di 600 ettari che ospita zebre, antilopi, bufali, struzzi, tartarughe e alcune specie animali provenienti dal Sud Africa. Pur non essendo nulla di trascendentale, merita comunque una visita.
Possibilmente non nel modo in cui l’ho effettuata io, che nel momento esatto in cui mi sono presentato davanti al cancello d’entrata ho scoperto che l’unica jeep messa a disposizione dei turisti era in panne. A quel punto, pur di testimoniare la mia impercettibile presenza e ritenermi soddisfatto, non mi rimase che fotografare una tartaruga e alcuni struzzi a portata di obiettivo. Com’è il detto? Piuttosto che niente, meglio piuttosto…
- Il costo di entrata al Parco Sarakawa è di 5.000 FCFA ed è visitabile a bordo di un 4×4, con l’ausilio di una guida locale.
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